Friday, 1 June 2012

Adelante, con juicio......

La Cei ha diffuso le “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti dei minori da parte dei chierici” che seguono la Circolare della Congregazione della dottrina della fede del 3 maggio 2011.


È molto interessare leggere il contenuto di questi documenti nella parte relativa ai rapporti con le autorità civili.

Nella lettera circolare del 3 maggio 2011 della Congregazione della dottrina della fede si legge che «l’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile. (ma vá???!!!). Sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche».
Si sperava quindi che la Cei prescrivesse ai Vescovi di denunciare alle autorità civili i casi di abusi sessuale di cui erano venuti a conoscenza.

Invece nelle linee guida si legge che «i Vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero».

Secondo la Cei le autorità giudiziarie possono richiedere «eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico (…) ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro». Inoltre per la Cei «rimane ferma l’inviolabilità dell’archivio segreto del Vescovo previsto dal can. 489 CIC, e devono ritenersi sottratti a ordine di esibizione o a sequestro anche registri e archivi comunque istituiti ai sensi del CIC, salva sempre la comunicazione volontaria di singole informazioni». La Cei – in queste linee guida – ribadisce l’aderenza di queste posizione con quanto sostenuto dalla Congregazione nella citata circolare nella parte in cui si afferma che «va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale». La Cei però ricorda che «nell’ordinamento italiano il Vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti oggetto delle presenti Linee guida».
Lo stesso monsignor Crociata (meraviglioso caso di nomen-omen, sincerissimi complimenti al senso dell´umorismo di chi lo ha promosso a questo incarico) – segretario generale della Cei – presentando il documento ha ribadito che «non possiamo chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale: formalizzare la richiesta al vescovo di denunciare i casi di abuso vuol dire andare contro l’ordinamento, del resto su questo problema la cooperazione con la magistratura è un fatto ordinario» e inoltre «è chiaro a tutti noi vescovi che bisogna collaborare con le autorità civili, ciò non vuol dire che noi si possa operare in modo difforme da quanto prevede la legislazione». Ovviamente i vescovi – non essendo dei pubblici ufficiali – non sono obbligati in base alla legge (art. 357 – 358 codice penale) a denunciare un reato.


Di certo se in questo documento interno fosse stato fatto obbligo ai vescovi di denunciare i casi di abuso sessuale non sarebbe stata una prescrizione «contro l’ordinamento» o «difforme da quanto prevede la legislazione» per usare le stesse parole di monsignor Crociata: non ci sarebbe stata nessuna violazione di legge in tal caso. Inoltre anche se il privato cittadino (quale può considerarsi un vescovo) non ha l’obbligo di denunciare un reato di cui è a conoscenza, il buon cittadino rompendo il muro di omertà non andrà mai contro la legge se denuncia un reato.

Comunque se il problema è la legge che non assegna ai vescovi lo status di pubblico ufficiale, provocatoriamente si potrebbe proporre di assegnare ai prelati lo status di incaricato di pubblico servizio: considerando l’onnipresenza di membri del clero anche in cerimonie civili l’idea non sarebbe infondata.

Sebbene lo stesso Crociata ha ribadito che «su questo problema la cooperazione con la magistratura è un fatto ordinario», le cifre da lui stesso presentate suggeriscono che sia necessaria una maggiore cooperazione. Infatti in Italia i casi di pedofilia da parte di chierici nel periodo 2010-2011 sono stati finora 135 e solo 77 casi sono stati denunciati alla magistratura.

Friday, 23 March 2012

Si me matan resucitare en el pueblo salvadoreno

Oggi, 24 marzo, 32 anni fa moriva Oscar Romero, il vescovo di San Salvador mandato dal Vaticano come provato conservatore contro le derive "comuniste" della Teologia della Liberazione e diventato invece il simbolo della chiesa rivoluzionaria che si schiera dalla parte del popolo e non degli oppressori.
Aveva deciso di non tacere monsignor Oscar Arnulfo Romero, voce coraggiosa del popolo salvadoregno; aveva scelto la strada della denuncia aperta contro violenze e ingiustizie in difesa dei diritti umani, in un momento in cui la stragrande maggioranza della popolazione versava in condizioni economiche estremamente difficili e le progressive ribellioni, i colpi di stato militari e delle forze dell’estrema destra conducevano irrimediabilmente alla guerra civile.

El Salvador era allora tiranneggiato da poche decine di famiglie ricche che sfruttavano terre e contadini senza il benché minimo riguardo per le effettive esigenze del paese e della popolazione. La situazione politica interna era incandescente: gli interessi dei due fronti antagonisti, l’oligarchia al potere e le rappresentanze popolari si mescolavano in una miscela esplosiva con quelli delle grandi potenze mondiali. In tale contesto Romero, uomo timido e introverso, viene spinto dalle circostanze a divenire strenuo difensore del popolo. Ordinato sacerdote nel 1942, negli anni della sua prima formazione è un moderato, un uomo prudente, considerato dal clero del suo tempo conservatore e tradizionalista. Guarda con apprensione anche all’assemblea di Medellìn, nella quale la Chiesa latinoamericana aveva fatto la coraggiosa opzione per i poveri.

La sua laboriosità e l’obbedienza gerarchica gli valgono la nomina a vescovo nella diocesi di Santiago de Maria. All’epoca però porta avanti il suo mandato senza riuscire ad avere un particolare ascendente sulla comunità dei fedeli. Nel 1977 viene nominato Arcivescovo di San Salvador, capitale del paese, e la scelta della sua persona per un posto così di rilievo è addirittura salutata dal potere politico come una vera e propria vittoria. È a questo punto che la vita del Vescovo subisce una svolta radicale. Poco dopo l’inizio del nuovo incarico, il suo fraterno amico padre Rutilio Grande, che aveva abbracciato la causa dei contadini, viene ucciso. Nella omelia funebre riconosce che egli è morto solo per aver voluto strenuamente difendere e proclamare la dottrina sociale della Chiesa. Tema caldo dell’epoca era infatti proprio il rapporto fede-politica, emerso dopo il Concilio Vaticano II, e la presa di posizione di gran parte del clero sudamericano in favore della teologia della liberazione e della dottrina sociale della Chiesa.

Sono in molti a ritenere che dopo tale tragico evento il nuovo vescovo subisca una vera e propria conversione arrivando a considerare l’assassinio un atto contro la Chiesa e modificando il suo giudizio sui detentori del potere in Salvador.

Da quel momento diventa un altro uomo, e sentendo tutta la responsabilità del proprio ruolo reagisce difendendo la Chiesa e il proprio popolo. In realtà, più che un convertito sulla via di Damasco, Romero appare come un uomo dalla grande apertura mentale, e più che di vera e propria conversione sarebbe giusto parlare della “evoluzione” di un uomo che, abbandonando progressivamente posizioni più tradizionaliste, si apre alle posizioni del Concilio Vaticano II perché si rende conto di doversi adattare ai tempi e di aprirsi alla voce dello Spirito che parla nella e dalla vita della gente. Da Arcivescovo della capitale sente su di sé una responsabilità pubblica nuova che gli impone un certo attivismo. Non può rimanere indifferente di fronte alla difficile situazione politica che coinvolge tutto il popolo. Iniziano dunque le “omelie denuncia” in cui leva alta la sua voce contro le tante violazioni dei diritti umani che si verificano nel paese. La Cattedrale diventa il luogo in cui al commento delle letture bibliche segue l’elenco puntuale, dettagliato, anagrafico dei desaparecidos, degli assassinati della settimana e, quando possibile, anche dei loro assassini o mandanti. Romero rivolge le sue accuse contro il clima di violenza e intimidazione creato dal Governo e si schiera apertamente a favore dei meno abbienti. Nelle sue parole appare chiara l’“opzione preferenziale” per i poveri: “I poveri sono coloro che ci dicono che cos’è la polis, la città; che cosa significhi, per la Chiesa, vivere realmente nel mondo... Ci siamo incontrati con gli operai, che sono senza diritti sindacali e che vengono scacciati dalle fabbriche non appena provino solo a reclamarli, che sono alla mercè dei freddi calcoli dell’economia... Ci siamo incontrati con le madri e le spose dei desaparecidos e dei prigionieri politici... Questo incontro con i poveri ci ha fatto recuperare la verità centrale del Vangelo nel quale la parola di Dio ci sollecita alla conversione... La speranza che predichiamo ai poveri perché sia loro restituita la dignità, è per dare loro il coraggio di essere, essi stessi, gli autori del proprio destino. In una parola, la Chiesa non solo si è voltata verso il popolo, ma fa di lui il destinatario privilegiato della propria missione”.

Con parole semplici e dirette si rivolge ai suoi fedeli reinterpretando tutto, anche i momenti difficili che vive il popolo salvadoregno, alla luce del Vangelo. Da bravo comunicatore quale è, riesce a farsi capire dal popolo anche scegliendo mezzi decisamente anticonvenzionali per i tempi: la sua voce, oltre che dall’altare, arriva alla gente tramite il mezzo radiofonico o addirittura, quando si sposta per il paese in automobile, tramite l’altoparlante. Tutto ciò è una testimonianza chiarissima della vicinanza e della passione per la sua gente. Ma nutre anche un amore inattaccabile per la Chiesa. Entrato a far parte della schiera degli innovatori conciliari, è un convinto assertore della necessità che la Chiesa diventi guida morale della società e pertanto che ispiri la politica nel senso dell’etica e della giustizia: “La nostra Chiesa deve impegnarsi senza paura nelle situazioni concrete, storiche, politiche del momento, continuando ad essere sempre Chiesa e Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo… La fede in Dio impegna l’uomo nella storia”.

In qualche modo dunque vuole attualizzare la dottrina, calare la fede nella quotidianità usandola come mezzo per operare per il bene comune. Ritiene necessario vivere il Vangelo solidarmente con le angosce e le speranze degli uomini. Non fa mistero del suo sogno di un paese liberato da ingiustizie, odi, rancori, divisioni. Tuttavia la difesa dei diritti umani e della dignità dell’uomo, sia pure perseguita partendo dai testi della parola di Dio, disturba non solo i detentori del potere ma anche tutti coloro che si ergono a difensori della cristianità di fronte al comunismo ateo. Romero diviene così oggetto di strumentalizzazioni oltre che di critiche feroci da parte di molti settori ecclesiastici. In realtà, come rivelano i suoi collaboratori più stretti, ha una grande capacità di distacco da questioni partitiche. Libero da gabbie e pregiudizi ideologici, afferma: “La Chiesa non può confondersi in nessun modo con il partito politico, anche se spesso si ricercano obiettivi a volte simili, come la giustizia sociale, la partecipazione politica di tutti i cittadini”.


Scrive al presidente americano Jimmy Carter, una lettera che è una esplicita accusa alla politica americana in America Latina, fatta di appoggi alle dittature in nome della lotta al "comunismo". La lettera inizia dicendo a Carter: "You say that you are Christian. If you are really Christian, please stop sending military aid to the military here, because they use it only to kill my people." 

Quando incontra Wojtyla a Roma, il papa, dopo averlo fatto aspettare ore perchè aveva udienza con un circo che si esibiva per lui, davanti alle descrizioni di Romero su ciò che accadeva in Salvador, contadini, attivisti e preti uccisi dai militari, il papa gli dice: "Io conosco la grave situazione e so che il suo apostolato è molto difficile. Conti sulle mie preghiere; tutti i giorni prego per El Salvador. So che lei difende con impegno la giustizia sociale, l'amore verso i poveri, ma bisogna fare pure molta attenzione alle ideologie che possono infiltrarsi in questa difesa dei diritti umani, ideologie che alla lunga risultano lesive per i diritti umani". (questo papa viene invocato come santo, mentre per Romero il Vaticano ha ancora dubbi....)
Tornato in Salvador Romero commenta che Wojtyla non riusciva a capire il suo impegno e rifiutava di sostenere le sue attività. "Non penso di tornare a Roma una seconda volta - dice -  il Papa non mi capisce".




Non deve essere facile infatti la vita del vescovo di San Salvador, sottoposto a pressioni continue, critiche, allo strazio per le condizioni della sua gente e alle minacce che gli provengono dal potere che avversa. E certamente Romero non è l’indomito combattente descritto dai tanti films realizzati per raccontare la sua storia; aveva un carattere complesso, un comportamento non sempre lineare, a volte insicuro. Ma proprio questo lo rende così vicino, così umano. Aveva paura, come tutti gli uomini che vivono in una situazione di pericolo: “Ho paura per la violenza verso la mia persona. Temo per la debolezza della carne, ma chiedo al Signore che mi dia serenità e perseveranza... L’altro mio timore è riguardo ai rischi della mia vita. Mi costa accettare una morte violenta che in queste circostanze è molto probabile... Le circostanze sconosciute si vivranno con la grazia di Dio. Gesù Cristo assistette i martiri e, se necessario, lo sentirò più vicino nell’affidargli il mio ultimo respiro”. E nonostante tutto, fedele alla sua missione pastorale, rifiuta la scorta che gli viene offerta in seguito all’aggravarsi della situazione politica: “Sarebbe una contro-testimonianza pastorale se io potessi muovermi sicuro mentre il mio popolo vive nel pericolo”.

La sua umanità è rivelata anche dalle testimonianze di chi conoscendolo notava una grande differenza tra ciò che era fuori e ciò che diventava sull’altare. Da uomo incerto, influenzabile e apparentemente fragile nel quotidiano, sul pulpito acquistava grinta e coraggio, trasformandosi, per amore del suo popolo, nella voce forte e risoluta che periodicamente denunciava ingiustizie e soprusi. Negli ultimi mesi della sua vita, presagendo l’irreparabile, arriva alla accettazione della morte, fa ciò che crede suo dovere, lasciando alla volontà divina la soluzione finale della sua vita: “Spesso hanno minacciato di uccidermi. Come cristiano devo dire che non credo nella morte senza resurrezione: se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno. Lo dico senza superbia, con la più grande umiltà. In quanto pastore ho l’obbligo, per divina disposizione, di dare la mia vita per coloro che amo, ossia per tutti i salvadoregni, anche per coloro che potrebbero assassinarmi. Se le minacce giungessero a compimento, fin d’ora offro a Dio il mio sangue per la redenzione del Salvador. Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare. Ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, il mio sangue sia seme di libertà e segno che la speranza sarà presto realtà.[...] Morirà un vescovo, ma la Chiesa di Dio, ossia il suo popolo, non perirà mai”.
Romero era dunque un grande ostacolo da eliminare e non solo per il suo progressismo politico... Parlava troppo, dava ai poveri la speranza del cambiamento alla luce della parola di Dio, ogni giorno presentava il conto delle vite umane, poneva gli uomini di fronte alle proprie responsabilità e alle proprie coscienze, e niente è più destabilizzante del porre gli individui davanti alla coscienza personale. La sua ultima omelia è un accorato appello contro la repressione e in qualche modo sarà anche la sua definitiva condanna a morte: “Vorrei rivolgere un invito particolare agli uomini dell’esercito... Fratelli, appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri fratelli contadini; ma davanti ad un ordine di uccidere che viene da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: NON UCCIDERE... Nessun soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine che sia contro la legge di Dio... Una legge immorale nessuno deve adempierla. È ora, ormai, che recuperiate la vostra coscienza e obbediate anzitutto ad essa, piuttosto che all’ordine del peccatore. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, della legge di Dio, della dignità umana, della persona, non può rimanere in silenzio di fronte a così grande abominazione. Vogliamo che il governo si renda conto sul serio che non servono a niente le riforme se sono macchiate con tanto sangue… In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente i cui lamenti salgono al cielo sempre più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: Basta con la repressione!”.

La sera del 24 marzo verso le 18.30 nella cappella della Divina Provvidenza, Romero termina la sua omelia, e si appresta al momento dell’offertorio. Uno sparo e il vescovo si accascia.

Ma da morto fa più rumore che da vivo. Per la sua gente, per la Chiesa nel mondo, egli è martire, per aver voluto illuminare la politica e la vita sociale a partire dal Vangelo, dando un messaggio di speranza nella realizzazione del Regno di Dio e di un mondo migliore. Non è morto invano. La sua voce è rimasta nel cuore del suo popolo, dove nessuno potrà mai spegnerla.

La storia del vescovo Oscar Arnulfo Romero è una storia da raccontare, che narra del difficile cammino di un uomo di Chiesa in un paese tormentato da lotte politiche, ingiustizie, povertà; che narra di una conversione ai poveri, dell’ascolto della voce dello Spirito che parla dentro la storia, che mostra un volto di Chiesa vicina alla vita della gente, che si erge a testimone dei valori della vita e del Vangelo, che esalta e sublima le tante croci portate e il tanto sangue versato, da laici e uomini

Wednesday, 5 October 2011

Tra moglie e marito....

Dal giornale di ieri:
un uomo di 50 anni, Valter Henrique Batista, è stato arrestato per aver incendiato la propria casa....dettaglio, con moglie e figlio dentro, che per fortuna si sono salvati, soccorsi dai vicini. La notizia non è purtroppo nulla di troppo strano, soprattutto nei fine settimana qui, quando l'alcool fa sì che le cronache del lunedì siano piene di episodi di violenza domestica. Ma quello che è particolare è la dinamica dell'episodio: il signor Batista arriva in casa e la moglie gli dice che finalmente ha trovato lavoro come domestica in una casa. Ma lui, irritato con questi costumi moderni per cui la donna si permette di lavorare, le dice che il posto delle donne è in casa a curare i figli e che lui (disoccupato ndr) si preoccupava di sostentare la famiglia. Per ribadire il concetto, nel caso in cui non fosse stato chiaro, la gonfia di botte di fronte al figlio di 10 anni. Dopo di che esce di casa, appicca il fuoco alla propria (.....) casa di legno e va al bar a bere, visto che probabilmente non lo aveva fatto abbastanza. Nel mentre i vicini salvano i due malcapitati ma non la casa che viene completamente distrutta dal fuoco. Il bambino viene ricoverato in stato di shock, mentre la polizia va al bar dell'angolo per arrestare il buon Batista che, sulle macerie fumanti della propria casa, si dice incredulo di come le persone non si facciano gli affari propri e che ciò che è successo non è altro che: "una normale discussione tra marito e moglie"....

Saturday, 24 September 2011

Da: "Il povero scelto come Signore" di Dominique Barthélemy

 "Il solo modo autentico di essere stimati è di permettere ad altri di esistere e di esistere liberamente, non di esistere per noi, in unaq situazione di dipendenza. Gli amori possessivi non generano realizzazioni valide. L'amore autentico è quello che 'lancia' l'altro nell'esistenza e lo rende libero e preparato per viverla, libero e autonomo. Questo suppone che si sia capaci di stimare gli altri. Essere aiutati è sempre molto ambiguo. Essere aiutati se non si è stimati può essere umiliante. Se si è stimati, l'aiuto prende un senso positivo, e lo si può accettare senza essere umiliati certi della stima. Aiutare, in sè, è una realizzazione positiva della ricchezza, ma o si aiuta stimando, oppure si aiuta disprezzando segretamente colui che si aiuta. Sarà un colpo in più per chi si trova nella necessità di chiedere un aiuto".

Tuesday, 20 September 2011

Orgasmi

In una cittá con due squadre di calcio che cercano di essere promosse dalla serie D alla C, qualche lottatore di MMA (Mixed Martial Arts, una roba americana in cui ci si pesta come zampogne e chi rimane in piedi vince) e nulla piú che possa renderci orgogliosi sportivamente, fa sensazione la notizia della vittoria di Ana Beatriz Gomes, 22enne studentessa di geologia, che ha sbaragliato un´ agguerrita concorrenza e ha portato a Manaus la vittoria nel concorso nazionale del miglior gemito.
Il Concurso Nacional de Gemidos, promosso dalla maggior rete di sexyshop brasiliana, Loja do Prazer (il negozio del piacere), dal sito Sexonico e da vari blog e radio si é svolto su internet: ognuno poteva mandare il proprio gemito registrato e poi una giuria composta da internauti e da notevoli personalitá quali il giornalista Leão Lobo della rete CNT, lo psicologo Paulo Tessarioli, specialista in sessualitá umana, Edu Testosterona, editor della rivista Sexy, Acid Girl, editor del blog "aciditá femminile" e Pietra Principe, che conduce la trasmissione "Papo Calcinha" (conversazione mutandina) sul canale TV Multishow.
Con un gemito di 26 secondi intitolato "Humm..delicia" (eh sí, bisognava anche dargli un titolo), 7000 voti e il plauso della giuria Ana Beatriz si é portata a casa il primo premio, una Fiat Uno, e i titoli dei giornali qui in cittá. E, a differenza delle banalitá dei calciatori, il suo commento alla vittoria é stato emozionante: "É stato un orgasmo finto, ma é risultato molto simile con quello che faccio davvero, e la gente mi ha votato per questo." Senza dimenticare, come tutti i vincitori di qualcosa, la falsa modestia: "Pensavo che solo i miei amici mi votassero, ma il numero di voti ha continuato a crescere senza nessuna interferanza da parte loro".
Da miglior gemitrice del Brasile, non mancano ovviamente i consigli tecnici: "Io ho seguito una formula per ingraziarmi la giuria, ma che uso sempre: é un artificio per eccitare il partner: agli uomini piace un gemito che abbia un inizio, un mezzo e una fine. Non puó essere forzato né rimanere solo all´apice" raccomanda la campionessa.
Il gemito vincitore, e tutti gli altri, alcuni veramente meravigliosi, possono essere ascoltati sul sito del concorso e vi assicuro che vale la pena!!
Su questo Blog, invece, un´intervista completa alla vincitrice, é in portoghese ma si capisce

Artigianato

Come tutti sapete Manaus é uno dei maggiori poli industriali del mondo, il Distretto industriale riunisce circa 365 multinazionali (praticamente quasi tutte quelle esistenti credo) e "produce" quasi tutti gli oggetti di tecnologia che circolano nel mondo: cellulari, PC, elettrodomestici ecc. dico produce tra virgolette perché in realtá il verbo piú corretto é assembla, monta: nulla di ció che esce dalle nostre fabbriche é vprodotto qui, i pezzi arrivano da tutto il mondo, vengono assemblati e ripartono per i quattro angoli del pianeta, tanto che nonostante tutti i televisori LCD siano montati qui, comprarne uno a São Paulo, New york o Milano costa meno che comprarlo qui. Ma se in Brasile si puó parlare male di tutto tranne che di Pelé, a Manaus si puó criticare tutto tranne la Zona Franca, considerata lórgoglio della cittá, nonché l´unica cosa che ci permette di non andare in giro come gli indios dell´interior. Riflettere sul vero ruolo della Zona Franca - una fabbrica immensa di manodopera a basso costo che porta benefici solo alle multinazionali che pagano imposte ridicole - é un argomento assolutamente tabú.
Per questo mi é piaciuta molto la storiella che mi ha raccontato questa settimana il mio amico Luiz Felipe:
Due brasiliani si incontrano durante un viaggio:
- Ahh, sei di Manaus?  É vero che lá ci sono molti indios (domanda classica che ti senti rivolgere realmente quando viaggi per altre cittá del Brasile..ndr)
- Eh sí, ci sono molti indios....
-Ah, quindi avete anhe molto artigianato...
- Sí facciamo e abbiamo molto artigianato, tralaltro credo proprio che in casa avrai qualche pezzo di artigianato indigeno fatto a Manaus

- No, non credo, non ho nulla...
- Come?? non hai una TV al plasma? DVD? Computer? Tablet? Home Theatres? MP4? Moto?
- Sí certo...e allora?

- Quella che voi chiamate tecnologia, noi la chiamiamo artigianato...

Friday, 9 September 2011