Quando sono stato in Italia il mese scorso mi è capitato di raccontare a varie persone come funziona il Distrito Industriale di Manaus, che è una Zona Franca, regno di tutte le multinazionali del mondo che vengono qui a montare i loro prodotti e poi li rispediscono in giro per il mondo. Quasi tutti i televisori, monitor, frigoriferi, moto e molti altri beni sono montati a Manaus. Notate che uso il verbo "montare" non produrre, perchè è proprio di questo che si tratta. I vari pezzi delle merci vengono prodotti in altre zone del mondo (Cina, Sud-Est Asiatico, Pakistan ecc) e poi spediti qui in mezzo alla foresta per essere assemblati e poi spediti belli e pronti nei vari paesi consumatori finali, soprattutto USA, Corea del Sud, Giappone e ovviamente Europa. Se una multinazionale ha convenienza a portare a Manaus (una città in cui si arriva solo in barca - dopo 4 giorni di navigazione dalla foce del rio Amazonas - o in aereo) dei pezzi da far montare è facile capire che razza di incentivi fiscali e di costo della manodopera ci siano qui.
D'altronde, dicono i sostenitori della Zona Franca (il 99% dei politici qui), quale impresa verrebbe ad aprire una fabbrica qui se non si offrissero condizioni appetitose? E infatti l' 80% delle persone qui lavora nel Distretto industriale, già, ma facendo cosa? L'operaio non specializzato, cioè la figura più semplice e "bassa" nella scala produttiva; e un'impresa che è qui solo per far montare frigoriferi che interesse ha a qualificare o formare un lavoratore, visto che l'unica cosa che gli serve è un montatore? Quale è dunque il beneficio a lungo termine? Nessuno, direi, ma guai a parlare male della Zona Franca, qui è il modo più veloce per suicidarsi politicamente, come ha fatto Serra, il candidato alla presidenza sconfitto ad ottobre da Dilma, che anni fa osò mettere in discussione il rinnovo della Zona Franca, che scade nel 2030, dichiarazione che qui a Manaus nessuno ha mai dimenticato.
Faccio questa premessa perchè mi è sembrato strano leggere l'altro giorno sul giornale un articolo appunto critico della Zona Franca, che chiama in causa direttamente le responsabilità delle multinazionali e che voglio riproporvi qui, perchè mi pare estremamente acuto, anche se non concordo personalmente con tutto quello che dice. L'autore è Ismael Benigno Neto, blogger de "O malfazejo" più o meno "il malfattore".
Questo il suo articolo, intitolato "Europa sem esgoto" (Europa senza fognatura)
"Uno di quei misteri insondabili coperti dalla densa foresta amazzonica è la capacità dello stato di ospitare un polo industriale capace di fatturare 35 miliardi di dollari in un anno senza che la gente intorno se ne renda conto. Una rapida occhiata ai numeri mostra che, al netto delle lamentele degli industriali, le fabbriche del Distretto vanno molto bene, grazie! Dall'altro lato, i posti di lavoro creati nel settore sono crollati.
Una delle pratiche classiche del mondo manageriale è il cosiddetto: "corte do cafezinho" (il taglio del caffettino). Al primo segnale di vacche magre all'orizzonte, le grandi imprese risparmiano sui bicchierini di plastica, sulla qualità del caffè e a volte anche dell'acqua. Indipendentemente da quello che sa della salute finanziaria dell'impresa per la quale lavora, il tipico operaio motatore di Manaus è abituato a perdere il lavoro non appena il Financial Times avvisa che sta per arrivare una crisi negli USA. L'amazonense è il "cafezinho" umano delle multinazionali installate nel Distretto Industrtiale. Nulla contro la mano invisibile del mercato. Il lavoro non sono le politiche sociali, non si può mantenere posti di lavoro non necessari solo per una questione di giustizia. Il capitale è il capitale e se il fatturato aumenta con meno gente che lavora, tanto meglio per le imprese.. Se c'è qualcosa di cui l'amazonense può lamentarsi è l' andare a braccetto di Imprese e Governo, che ogni anno battono record di fatturamento e imposte, senza che queste imposte pagate si trasformino in migliorie della qualità di vita.
Con le mostruose entrate dell' ICMS (un'imposta statale su beni, più o meno come l'IVA in Italia), l'investimento in infrastrutture e fognature pubbliche, ad esempio, potrebbe essere immenso. E' passato il tempo in cui gli Amazonensi invidiavano i paulisti o i giapponesi che venivano qui a guadagnare 35 miliardi all'anno. Le fabbriche non devono nè amore, nè investimenti all'amazonas - hanno pagato le tasse. Se il Distretto Industriale si è trasformato in una isola con PIM europeo impiantata in mezzo alla povertà, il problema non è del Distretto.
Il problema è di chi giura di essere nato per essere solo "cafezinho"
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